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08 giu, 2023
L’ansia è un’emozione caratterizzata da sensazioni di tensione, minaccia preoccupazione e cambiamenti a livello fisiologico. La presenza di ansia nelle persone esiste perché da un punto di vista evolutivo è stata, ed è tuttora, necessaria per la sopravvivenza, per cui una giusta dose di ansia è utile, diventa fastidiosa quando è eccessiva ma, per fortuna, ciascun individuo può avere il potere di eliminarla o ridurla. Un metodo utile per la cura e la riduzione dell'eccessiva ansia è la REBT ovvero la Terapia Razionale Emotiva Comportamentale. Che cos'è? Consiste nell'individuare quello che ci rende particolarmente ansiosi o preoccupati (tendenzialmente la mancanza di approvazione delle persone a cui vorremmo piacere oppure vari tipi di disagio o una malattia o il pericolo della morte o ancora il desiderio di ottenere una certa performance). E quindi necessario fare un lavoro che ci permette di capire con precisione ciò che ci rende ansiosi, individuando le convinzioni irrazionali che provocano l’ansia e che generalmente pur essendo tantissime, si possono ricondurre a uno o più categorie principali. Le categorie sono: Doverizzazioni su se stessi: esempio, “devo assolutamente avere successo” o “devo essere impeccabile”, Doverizzazioni sugli altri: esempio “gli altri mi devono aiutare o devono approvarmi”, Doverizzazioni sulle condizioni di vita e o/e sulle condizioni del lavoro: esempio “devono essere come dico io”, “il contesto politico deve assecondare i miei interessi personali” ecc. Tali doverizzazioni producono bassa tolleranza alla frustrazione e in genere depressione, tendenza a procrastinare e tante altre conseguenze negative. Pare sorprendente ma tutte le doverizzazioni si riconducono a queste 3 categorie, escludendo i doveri condizionati (es. se compro un libro, devo pagarlo). Per meglio spiegare; ogni volta che si decide di raggiungere un obiettivo, se lo carichiamo di doverizzazioni e pretese, sentiremo emozioni di tristezza, di frustrazione e dispiacere se non otterremo tale obiettivo. Se invece ci prospettiamo un esito più realistico e meno catastrofico le nostre emozioni saranno diverse come lo sarà il nostro risultato perchè non inquinato dalla eccessiva ansia. Esempio: devo assolutamente passare questo esame altrimenti sono un fallito, può essere riformulato: “vorrei tanto passare questo esame e se non lo passassi potrei restare deluso senza sentirmi fallito”. Oppure: “devo assolutamente essere approvato e stimato dagli altri (impossibile!!!) diventa: “mi fa piacere se ciò che faccio riscuote il consenso degli altri, tuttavia posso sopportare la loro non approvazione in quanto anch’essi non sono perfetti”. La REBT ci insegna a modulare il giusto sentimento di dispiacere e frustrazione di fronte a un fallimento senza essere ansiosi in modo eccessivo al punto di compromettere le facoltà mentali. Attraverso la REBT il terapeuta incoraggia a valutare i pensieri i sentimenti e le azioni solo come buoni (efficaci) e cattivi (inefficaci) di conseguenze noi non siamo mai buoni o cattivi ma, semplicemente facciamo cose buone o cattive in base ai nostri desideri e ai nostri valori. Concludo nel ribadire che l’ansia ha comunque una connotazione anche positiva ed è protettiva per la vita, l’evoluzione è finalizzata a permettere la sopravvivenza della specie e non per fare in modo che sia felice intanto che sopravvive.
Autore: Customer Service Italiaonline 08 giu, 2023
Domanda che si pongono tutti i genitori: “starò facendo un buon lavoro con mio/a figlio/a?- Come lo/a devo educare? Non c’è una risposta univoca e corretta, l’educazione non è un concetto assoluto; in Italia riteniamo corretto e educato dare del lei alle persone più anziane, nei paesi anglosassoni non è così. Comunque anche questo concetto si modifica al variare dell’ambiente di riferimento che, come la cultura, non è un fenomeno statico, per cui il concetto di educazione è in relazione alla cultura, all’ambiente, alla fase evolutiva, al rispetto delle caratteristiche personali dei figli e dei genitori. Uno strumento che spesso suggerisco ai genitori in un contesto di sostegno alla genitorialità e di psico-educazione è il TOKEN ECONOMY il cui approccio, essendo prettamente comportamentale, si sposa perfettamente al mio stile e al mio orientamento. DI COSA SI TRATTA? È un programma di modificazione del comportamento che consiste nell’erogazione di token (gettoni) dopo l’emissione di comportamenti desiderati. L’obiettivo è: AUMENTARE LA FREQUENZA DEI COMPORTAMENTI DESIDERABILI DIMINUIRE LA FREQUENZA DEI COMPORTASMENTI PROBLEMATICI I token si possono accumulare e scambiare con altri rinforzatori. COME PROCEDERE? L’ideale sarebbe essere guidati da un professionista, la lettura dell’articolo permette solo di accennare all’argomento. Prima di tutto è necessario scegliere i comportamenti che vogliamo incrementare; pochi, chiari, ben definiti ovvero osservabili, quantificabili e realizzabili (esempio mangiare da solo o addormentarsi nella propria stanza (rimanendoci!) e non nel “lettone”. Successivamente vengono definiti i TOKENS (monetine, adesivi, stelline, cuoricini, ecc.) che verranno distribuiti al bambino subito dopo (10 minuti o mezz’ora sono già troppi) l’emissione del comportamento desiderato e accompagnati da un rinforzo sociale (manifestazione di approvazione e/o affetto come sottolineare la correttezza del comportamento messo in atto. I rinforzi positivi possono anche essere: di consumo (es, cibo) dinamici (es. attività piacevoli, sport) di possesso: premi materiali simbolici: token che possono essere scambiati con altri rinforzi. L’elenco dei premi deve essere stabilito con chiarezza fin dall’inizio, utilizzando anche delle immagini e cercando di mantenere sempre alto l’interesse e la motivazione. Esempio di rinforzo positivo:
Autore: Customer Service Italiaonline 08 giu, 2023
Quanto è importante per voi la comunicazione e quanto determina il risultato delle vostre richieste e l’esito dei vostri obiettivi? La comunicazione è stata studiata da differenti punti di vista scientifici (antropologico, filosofico, linguistico, psicologico, sociologico), ciò di cui mi occuperò in questo articolo riguarderà prevalentemente l’aspetto psicologico della comunicazione e in particolar modo LA COMUNICAZIONE NON VIOLENTA (CNV) come miglior espressione della comunicazione assertiva. La comunicazione si articola su due livelli: COMUNICAZIONE (i contenuti che si scambiano) METACOMUNICAZIONE (comunicazione sulla comunicazione, la cornice con cui interpretare i messaggi). Attraverso questi due livelli di comunicazione stabiliamo una interazione e definiamo il tipo di relazione, generando la definizione di se e dell’altro. Ecco come mi vedo e come tu sei secondo me. La CNV è un metodo ideato da Marchall Rosemberg (psicologo americano allievo di Carl Rogers) che cambia il nostro modo di parlare quindi di comunicare e di relazionarci con le persone e con noi stessi. Si basa sulle abilità di linguaggio e comunicazione che rafforzano la nostra capacità di rimanere umani, anche in condizioni difficili. La parola chiave della CNV è l’EMPATIA. Secondo la definizione di Carl Rogers, l’empatia è la capacità di utilizzare gli strumenti della comunicazione verbale e non verbale per mettersi nei panni dell’altro identificandosi parzialmente nel suo mondo soggettivo nel contesto di un’accettazione autentica e non giudicante. È proprio l’accettazione incondizionata e non giudicante dell’altro che permette di comprenderne realmente il vissuto identificandosi, seppur parzialmente, con la prospettiva da cui egli vede il mondo. Il metodo di CNV si basa su 4 elementi: OSSERVAZIONI, osserviamo senza valutazione senza giudizio SENTIMENTI emozioni, cosa proviamo? Siamo tristi, gioiosi, spaventati….. BISOGNI quali bisogni si sono collegati ai sentimenti che sono nati? RICHIESTE Quello che spesso accade quando comunichiamo è che osserviamo qualcosa, sentiamo un’emozione e la colleghiamo a un bisogno ma, NON FORMULIAMO CORRETTAMENTE LA RICHIESTA. Prima di capire come dovremmo comunicare impariamo come NON dovremmo comunicare, considerando che purtroppo nella nostra cultura siamo cresciuti parlando una lingua che ci spinge a: ETICHETTARE FARE PAREAGONI PRETENDERE (comunicare i nostri desideri come fossero delle pretese) EMETTERE GIUDIZI NON ASSUMERSI LA RESPONSABILITÀ DELLE PROPRIE AZIONI (ho iniziato a fumare perchè lo facevano tutti). Definiamo meglio gli elementi della CNV: PRIMA COMPONENTE DELLA CNV: OSSERVARE SENZA VALUTARE, se mescoliamo l’osservazione con la valutazione gli altri sono propensi a sentire una critica. La valutazione spesso implica un giudizio che negativo o positivo che sia è riduttivo. SECONDA COMPONENTE CNV: ESPRIMERE COME CI SENTIAMO non dobbiamo aver paura di esprimere i nostri sentimenti o di mostrare le nostre vulnerabilità. TERZA COMPONENTE DELLA CNV: ACCETTARE CIO’ CHE E’ ALL’ORIGINE DEI NOSTRI SENTIMENTI, Le azioni degli altri possono essere uno stimolo per i nostri sentimenti ma non ne sono la causa. QUARTA COMPONENTE: QUELLO CHE VOGLIAMO DAGLI ALTRI PER MIGLIORARE LA NOSTRA VITA Evitiamo di formulare le richieste in modo vago o ambiguo Usiamo un linguaggio positivo (dichiariamo quello che vogliamo e non quello che non vogliamo) Assicuriamoci che il nostro messaggio sia stato ricevuto in modo esatto Assicuriamoci che le nostre richieste non siano percepite come pretese perché in tal caso chi ascolta crede che sarà incolpato o punito se non si conformerà ad esse La CNV NON HA LO SCOPO DI CQAMBIARE LE PERSONE O I LORO COMPORTAMENTI MA QUELLO DI CREARE DELLE RELAZIONI BASATE SU ONESTA E EMPATIA. Letture consigliate: Rosenberg, M. (1999). Le parole sono finestre (oppure muri). : Esserci. Rogers, C.(1970). La terapia centrata sul cliente. Martinelli Watzlawick, P. et al., (1971). Pragmatica della comunicazione umana. Casa Editrice Astrolabio
08 giu, 2023
 Forse è un luogo comune pronunciare frasi del tipo “sono ossessionato”, “ma che ossessione”, “sei ossessivo”. In realtà avere delle ossessioni può essere una vera e propria patologia denominata DISTRUBO OSSESSIVO COMPULSIVO (DOC). Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi che arrivano nella mente in modo intrusivo tale da venire percepite dall’individuo come particolarmente fastidiose, tanto da generare notevole ansia. Lo sforzo che viene fatto per contrastare le ossessioni ha in genere un effetto momentaneo. Le ossessioni vanno distinte dalle preoccupazioni che sono comuni a tutte le persone e si riferiscono a qualcosa di reale, per esempio posso essere preoccupato per un esame, per un motivo di salute; tali preoccupazioni diventano ossessioni quando sono eccessive e quando sono prive di una base razionale. Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi come lavarsi ripetutamente le mani, controllare di avere spento il gas, riordinare la casa rispettando certe regole mentali oppure azioni mentali (contare, pregare ripetere sequenze o formule mentalmente) che hanno lo scopo di ridurre il disagio e l’ansia provocato dai pensieri ossessivi. In pratica le compulsioni sono il mezzo attraverso cui governiamo l’ansia e controlliamo il disagio e l’attenzione clinica è meritevole solo quando i sintomi sono tali da condizionare la vita di tutti i giorni. Sintetizzo alcuni dei pensieri ossessivi più frequenti, sottolineando che le ossessioni possono essere veramente di ogni tipo e spesso anche bizzarre: paura di dimenticare qualcosa, esempio chiudere il gas, chiudere la porta, aver lasciato la luce accesa (disturbi da controllo), ossessione per l’ordine e per la simmetria (i soprammobili devono essere in un certo modo, i vestiti e le scarpe rispettare uno specifico criterio di ordine), paura di contrarre delle malattie (disturbi da contaminazione) paura di non essere abbastanza puliti ( disturbi di cleaning) paure di aggressioni o violenze di carattere sessuale paura di fare del male agli altri o di riceverlo superstizione eccessiva Ci sono alcuni disturbi che possono essere confusi con il DOC che elenco solo per conoscenza: Disturbo ossessivo compulsivo di personalità Disturbo del controllo degli impulsi Depressione Convinzioni deliranti Ipocondria Il DOC, colpisce sia uomini che donne con una percentuale pari al 2-3% della popolazione. L’esordio è tra i 6-15 anni nei maschi e tra i 20-29 nelle donne e avviene in modo subdolo, aggravandosi gradualmente. La causa di esordio può essere un evento stressante oppure casuale, sicuramente l’eziologia del DOC ha avuto diverse interpretazione ma la più convincente è riconducibile allo studio dei meccanismi del pensiero e della modalità di elaborazione dell’informazione. Fra i pensieri maggiormente irrazionali vi è, nelle persone affette da DOC, un eccessivo senso di responsabilità che porta a ritenersi totalmente responsabili dell’esito negativo di un evento anche quando la responsabilità è in realtà minima o parziale. D’altra parte l’eccessiva importanza attribuita ai pensieri è un’altra caratteristica che porta gli individui affetti da DOC a ritenere che un pensiero, solo perché formulato sia importante e se il pensiero è negativo diventa inaccettabile riconoscerlo solo come un pensiero negativo. Le preoccupazioni negative ci possono essere ma non necessariamente determinano un aumento delle probabilità che si verifichino eventi temuti. La poca tolleranza dei pensieri negativi implica che tali soggetti facciano di tutto per contrastare tali pensieri e liberare la mente, quando in realtà non si può decidere di non pensare e cosa pensare perché il flusso dei pensieri, subisce solo un controllo parziale da parte nostra. Il rapporto con l’ANSIA, è un altro elemento da considerare e su cui lavorare. L’ansia è un’emozione normale che ha tutto il diritto di esistere e per quanto i sintomi fisici che l’ansia può determinare possano essere in taluni casi sgradevoli, non porteranno mai a una perdita di controllo totale e prima o poi l’ansia scende e con essa spariscono anche gli effetti fisici negativi. QUALE CURA PER IL DOC? Il trattamento maggiormente indicato è la terapia cognitivo comportamentale, associata alla terapia farmacologica, in genere antidepressivi, sono invece controindicati i farmaci ansiolitici come le benzodiazepine. La psicoterapia comportamentale modifica i pensieri e le emozioni disfunzionali partendo dal cambiamento dei comportamenti. Fra le tecniche più usate vi è la “esposizione con prevenzione della risposta”. In questo caso il soggetto viene invitato in maniera guidata a fronteggiare lo stimolo temuto senza mettere in atto i rituali comportamentali che in precedenza avrebbero temporaneamente ridotto l’ansia.
19 ott, 2022
L’attacco di panico DAP è un disturbo molto frequente con una percentuale maggiore nelle donne caratterizzato da ansia improvvisa e intensa, della durata di circa 10-15 m. I sintomi ad esso associati sono: Respiro affannoso Palpitazioni Vertigini o giramenti di testa Formicolii alle mani o ai piedi Senso di costrizione o dolore al torace Sensazione di soffocamento o di mancanza d'aria Sensazione di svenimento Sudorazione Tremori Vampate di caldo o di freddo Bocca secca Nausea o nodo allo stomaco Debolezza delle gambe Visione annebbiata Tensione muscolare Impressione di non riuscire a pensare chiaramente o di non riuscire a parlare Impressione che le cose intorno non siano reali Paura di morire, di perdere il controllo, o di comportarsi in modo bizzarro. La paura è indubbiamente l’emozione primaria che alimenta e favorisce tali sintomi ma la paura di per se non è un’emozione negativa anzi, è indispensabile per la sopravvivenza, il problema e che nell’attacco di panico insorge la paura della paura che determina, attraverso una sorta di ansia anticipatoria, l’evitamento di tutte le situazioni e circostanze potenzialmente pericolose e la messa in atto di comportamenti protettivi. Il terapeuta nel trattamento cognitivo comportamentale individua nella raccolta anamnestica i pensieri disfunzionali, ovvero quelli responsabili della fuga e dell’evitamento e attraverso un articolato lavoro su pensieri, emozioni e comportamenti, introduce nuove modalità comportamentali e pensieri più funzionali. DA COSA È CAUSATO L’ATTACCO DI PANICO? Ognuno racconta la propria storia e i fattori di scatenamento possono essere svariati con altrettante svariate interpretazioni. Di fatto un minimo segnale fisico o ambientale può diventare potenzialmente pericoloso e catastrofico, per esempio un piccolo aumento del battito cardiaco viene interpretato come un ALLARME che fa scattare l’attacco di panico. Colui o colei che vive questa situazione, si sente in perenne stato di ansia e nel tentativo di ridurre l’ansia tenderà ad evitare tutte quelle situazioni che potenzialmente creano uno stato di allerta. Pur consapevole della non esaustività dell’argomento, cito alcune delle tecniche in uso nella terapia degli attacchi di panico: Minfulness Rilassamento muscolare Ipnosi Esposizione enterocettiva (soprattutto per le persone agorofobiche che tendono a evitare di andare in luoghi aperti e affollati). Si inducono delle sensazioni corporee simili per imparare a cambiare le proprie reazioni. Per esempio se un individuo va nel panico perchè sente di avere tachicardia, con questo strumento si provoca la tachicardia durante la seduta per modificare la reazione ad essa. Desensibilizzazione sistematica in vivo o in immaginazione (si parte dalla situazione che genera meno ansia e si costruisce una gerarchia di stimoli ansiogeni, dal più basso al più alto, condivisa con il soggetto Ristrutturazione cognitiva. Può succedere infatti che i pazienti nel corso dell’attacco, credano di poter morire, diventare pazzi, di avere un attacco di cuore e di perdere il controllo. Con l’uso di diari e schede, si inizia a guidare la persona ad assumere un atteggiamento di verifica empirica e critica nei confronti dei pensieri catastrofici. Individuare delle spiegazioni alternative, aiuta le persone a rimpiazzare questi pensieri con modi più realistici e propositivi di considerare gli attacchi. E’ importante prendere in considerazione la storia di vita che farà inevitabilmente emergere gli aspetti che hanno reso i cliente vulnerabile agli attacchi di panico e che permetterà di consolidare il lavoro svolto per impedire le recidive.
19 ott, 2022
Può essere successo a tutti di non dormire, ma per parlare di insonnia cronica il problema deve perdurare per più di 3 mesi (inferiore a un mese, insonnia acuta) inoltre l’insonnia viene definita tale in base alla qualità del sonno e a come ci si sente dopo aver dormito quindi non in relazione alle ore passate a letto o alla velocità con cui ci si addormenta. È più importante la QUALITÀ del sonno rispetto alla quantità. I sintomi con cui si manifesta l’insonnia possono includere: 1. difficolta ad addormentarsi, 2. risvegli notturni, 3. svegliarsi troppo presto, 4. sonno non ristoratore, 5. stanchezza o sonnolenza diurna, 6. irritabilità depressione o ansia, 7. difficoltà di memoria e di attenzione, 8. continue preoccupazioni verso quantità e qualità del proprio sonno. Le conseguenze dell’insonnia possono essere: 1. aumento del rischio di sviluppare malattie psichiatriche, 2. depressione, 3. aumento della pressione arteriosa, 4. mal di stomaco, digestione lenta, 5. minore rendimento sul lavoro, 6. difficoltà di concentrazione, 7. tendenza a un comportamento asociale, 8. rischio di incidenti sul lavoro o alla guida. In questo articolo trascurerò tutta la parte neurofisiologica del sonno per illustrare in modo puramente indicativo il lavoro del terapeuta per risolvere questo problema. In primo luogo è necessario calcolare uno specifico parametro che è l’efficienza del sonno (ES), corrispondente al valore percentuale tra il tempo reale di sonno (TTS) e il tempo trascorso a letto (TTL). ES=(TTS/TTLX100). Una situazione di insonnia patologica si presenta quando il valore ricavato è inferiore all’85%. Per ottenere tali dati, il terapeuta inviterà il paziente a compilare un DIARIO DEL SONNO. È uno strumento di misurazione di base che permette di iniziare il programma di modifica del comportamento che considera diversi fattori, come per esempio, quanto tempo viene impiegato per addormentarsi, quante volte ci si sveglia durante la notte e per quanto tempo, a che ora ci si alza al mattino, se si sono assunti farmaci o alcolici, se sono stati fatti pisolini durante il giorno, ecc. Acquisite le principali informazioni riguardo le abitudini al sonno, il terapeuta indagaherà sulla disponibilità al cambiamento, perché per cambiare un’abitudine è FONDAMENTALE SOSTITUIRNE UNA NUOVA, attraverso un approccio cognitivo comportamentale che prevede l’analisi dei pensieri e delle abitudini, senza però trascurare la parte educativa sull’igiene del sonno che si può così sintetizzare: · Andare a letto solo quando ci si sente stanchi, · Svegliarsi alla stessa ora (anche nei fine settimana), · Non fare sonnellini diurni (se si ha l’abitudine del sonnellino post-prandiale, questo non dovrebbe essere superiore ai 30’), · Non assumere alcolici prima di andare a letto, · Non assumere eccitanti (caffeina) nelle 6 ore prima di andare a letto, · Praticare attività fisica costante, ma non prima di andare a letto, · Rendere il più confortevole possibile la camera da letto, · Evitare l’uso di telefono o PC prima di andare a letto, preferendo la lettura di un buon libro. Con la terapia cognitivo comportamentale si imparerà a modificare: · i pensieri disfunzionali e le convinzioni negative legate all’insonnia, · le risposte emozionali, quali ansia, paura o rabbia, · il comportamento manifesto, cioè quello osservabile, come controllare sempre l’ora, rigirarsi nel letto o svegliarsi di notte e non riprendere sonno. Esempi di credenze o pensieri negativi: · anche questa notte non riuscirò a dormire, · se non dormo 7 ore starò male tutto il giorno, · se non mi addormento subito, starò sveglio tutta la notte, · se durante la notte mi sveglierò, non riprenderò mai più il sonno. Se mentalmente continuiamo a ripeterci che non dormiremo bene avremo buone possibilità di non dormire, come d’altra parte se ci convinciamo di non riuscire a fare un compito, finiremo per crederci. Le tecniche utilizzate, oltre alla fase psicoeducativa, sono: · controllo dello stimolo, · terapia di restrizione del sonno, · l’intenzione paradossa, · il rilassamento, · l’autoipnosi. Concludo nel ricordare che, per quanto la terapia farmacologica attraverso il ricorso di benzodiazepine possa essere efficace e risolvere il problema dell’insonnia, persistono le cause che l’hanno determinata ed è per questo che il coinvolgimento di uno psicologo è determinante.
19 ott, 2022
Un luogo comune molto diffuso stabilisce che gli psicologi siano concentrati sul passato e già dal primo incontro si pensa a un’esposizione della propria vita a ritroso che farà emergere inevitabilmente eventi di vita importanti del proprio passato. Il clinico dispone di diverse teorie e tecniche che applicherà con successo con una discreta quantità di pazienti, ma inevitabilmente una fetta non indifferente di questi non risponderà come egli si aspetta: l’efficacia e l’efficienza saranno al di sotto delle aspettative, o addirittura non vedrà alcun cambiamento significativo nonostante il passare delle sedute. La spiegazione più adeguata potrebbe essere che semplicemente quel metodo per quella persona , per quel suo problema, o in quel momento della terapia, non è adeguato. Le persone non sono tutte uguali, a parità di problema, possono reagire in modo diverso, la TBCS indica che a uno specifico problema corrisponda una specifica soluzione e supera il concetto in cui è la soluzione che spiega il problema. Ciò che rende affascinante la TBCS è la capacità di attivare i punti di forza e le qualità positive delle persone infondendo speranza e fiducia nell’affrontare i cambiamenti e le difficoltà. Nell’utilizzo della TBCS il pz viene condotto dal terapeuta a ipotizzare che degli eventi positivi accadano; i pazienti riferiscono di sentirsi meglio e di trasformare le sensazioni piacevoli in piccoli ma significativi miglioramenti, considerando che le risorse principali per raggiungere la soluzione siano da ricercarsi nel cliente e nella sua capacità di essere il miglior aiuto di se stesso. Concludo nello specificare che terapia breve significa “nemmeno una seduta più del necessario”!
19 ott, 2022
Nella vita la solitudine non è rimanere da soli, ma amare inutilmente! Nell’approccio cognitivo comportamentale la terapia di coppia si fonda sul concetto che i membri della stessa utilizzano degli schemi cognitivi e comportamentali formatesi dalle interazioni con le figure di attaccamento nell’infanzia, che rappresentano i modelli attraverso cui interpretano le relazioni future (non solo nella coppia!) con gli altri e con se stessi. Prima di intervenire è necessario ricostruire la storia relazionale, come la coppia si è conosciuta e successivamente conoscere gli schemi mentali che determinano le nostre modalità comportamentali e i pensieri negativi ad essi correlati. Dopo un primo colloquio congiunto della durata di circa 90 minuti che prevede la raccolta della storia relazionale della coppia, si procede ai colloqui individuali separati nei quali si indagano aspetti riferiti alla famiglia di origine, al clima affettivo, eventi fondamentali dell’infanzia, aspetti della salute, prime relazioni extra familiari, aspetti della vita affettiva e sessuale, le relazioni sociali, le persone o i modelli ammirati, la vita professionale, l’utilizzo del tempo libero, il livello socio economico raggiunto, i rapporti di coppia, i rapporti con i figli, i rapporti con i suoceri. E’ necessario indagare eventuali resistenze al cambiamento relative alla paura di cambiare la propria personalità o di vedere cose negative su di sé o sui propri cari o eventuali reticenze sulla paura che si venga a sapere ciò che viene detto in terapia. L’approccio cognitivo di Ellis (1977) punta sull’importanza di individuare le aspettative irrealistiche sul matrimonio e le valutazioni negative riguardo alla soddisfazione di coppia (aspettative frustrate), partendo dal concetto di quanto i pensieri influenzino le emozioni e di conseguenza i comportamenti. Il trattamento nella coppia implica: • la modificazione delle aspettative irrealistiche rispetto alla relazione • la correzione delle convinzioni errate nella relazione • l’uso di procedure per ridurre o eliminare le interazioni conflittuali o distruttive • l’identificazione degli schemi e credenze del partener (Beck, 1988) • come dovrebbe essere per la coppia il rapporto e cosa ci si aspetta l’uno dall’altro L’errore più frequente è “l’attribuzione casuale” ossia far ricadere sul partner la colpa dell’infelicità nella relazione e il compito del terapeuta è far comprendere e ad accettare che la responsabilità è di ENTRAMBI. Il trattamento implica quindi l’Identificazione e la classificazione delle distorsioni cognitive, partendo dai pensieri negativi per trovare le distorsioni sottostanti: Inferenza arbitraria si giunge a conclusioni senza prove (es., se il partner tarda, ha una storia). Astrazione selettiva un’informazione viene estrapolata dal contesto; alcuni dettagli sono rilevanti ed altri sottovalutati (es., se il partner non ricambia il sorriso, è ancora arrabbiato). Supergeneralizzazione “Sarò sempre respinto” Esagerazione/minimizzazione se la moglie ha speso troppo, lo porterà alla rovina finanziaria • 5. Personalizzazione “E’ scontento di me” • 6. Pensiero dicotomico “Non riesce a far bene nulla” • 7. Classificazioni errate quando ci si tormenta o si tormenta per errori del passato. • 8. Visione tunnel quando si vede solo quello che si vuole vedere. “fa così perché gli manca qualcosa” • 9. Spiegazioni influenzate dai pregiudizi si scorge un movente negativo nelle azioni del partner • 10. Lettura della mente Educare ai sentimenti e alla consapevolezza di sé distinguendo tra amore patologico e amore sano. Definiamo come amore patologico quello possessivo, simbiotico, accudente, competitivo e l’amore sano quello orientato all’autonomia, alla libertà, al rispetto, alla fiducia, alla mediazione e senza strategie di potere Suggerimenti per un rapporto di coppia sereno • Esprimere i propri bisogni • Capire cosa il partner può realmente dare • Imparare a dire di no • Saper accettare il no • Prendere tempo • Imparare ad ascoltare • Mediare in caso di conflitto • Imparare a gratificare (a volte bastano 5 minuti al giorno!) • Capire e soddisfare i bisogni del partner • Usare l’umorismo • Accettare gli alti e bassi • Fiducia e libertà reciproca • Intesa sessuale • Mantenere rapporti equilibrati con la famiglia di origine La terapia di coppia funziona se entrambi vogliono salvare la relazione!!!!
19 ott, 2022
L’obiettivo principale della psicologia positiva è quello di promuovere il funzionamento ottimale umano, enfatizzando le risorse e potenzialità dell’individuo con un approccio bio psico sociale finalizzato a promuovere la salute (Duckworth et. al., 2005). Il padre della psicologia positiva è Martin Seligman, psicologo americano che ho apprezzato molto leggendo il suo libro “Imparare l’ottimismo” e che mi ha permesso di capire che lo psicologo non deve intervenire solo su ciò che non funziona, ma potenziare ciò che funziona (Seligman, 2013). D’altra parte se gli studi di psicologia hanno ben capito le cause che rendono infelici le persone, la psicologia positiva si occupa di porre attenzione sugli aspetti positivi dell’esistenza umana. Un importante concetto che ha introdotto Seligman attraverso studi su animali è quello dell’impotenza appresa (1975) che come dice la parola stessa è un comportamento che si acquisisce e che determina la percezione di non avere possibilità di scelta, di essere quindi vittime delle situazioni. È sufficiente intervenire per modificare la spiegazione degli eventi togliendo quel carattere di “immutabilità”. Come interviene lo psicologo attraverso la psicologia positiva? 1. Promuovendo la consapevolezza che le persone hanno un ruolo attivo e sono costruttori degli eventi (Harris, 2010), 2. Promuovendo un processo di cambiamento che porta a modificare gli SCHEMI ATTRIBUTIVI NEGATIVI, per favorire una miglior autoefficacia.  La psicologia positiva pone deliberatamente l’attenzione su ciò che la persona possiede e sullo sviluppo dei punti di forza e non è da confondere con il pensiero positivo perchè la psicologia positiva è un metodo scientifico che usa strumenti che sono stati validati e la cui efficacia è stata dimostrata nella popolazione in modo significativo con studi longitudinali e meta-analisi. L’approccio dello psicologo che utilizza la psicologia positiva si pone l’obiettivo di: o Lavorare sulle emozioni positive, sulla capacità di riconoscerle e gestirle, o Riconoscere i propri punti di forza, concentrandosi soprattutto sulla capacità di entrare in sintonia con noi stessi per ottenere uno stato di armonia, o Sviluppare e mantenere relazioni soddisfacenti, migliorando le nostre relazioni interpersonali e le abilità personali, o Dare un significato alla propria vita che va oltre al concetto di noi stessi,, o Stabilire obiettivi compatibili con le proprie abilità. Duckworth, A. L., Steen, T. A. & Seligman, M. E. P. (2005). Positive psychology in clinical practice. Annual Review of Clinical Psychology. Seligman, M. E. P. (2013). Imparare l’ottimismo. Giunti Editore S.p.A. Seligman, M. E. P. (1975). Helplessness: On depression, development, and death. Freeman. Harris, R (2010). La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere. Erikson Editore.
19 ott, 2022
La depressione è un disturbo che riguarda persone d’ogni età, tuttavia pare aumentata, anche in concomitanza con la pandemia, soprattutto nei giovani. Definiamo il concetto di depressione affinchè i lettori possano riconoscersi o meno in questo disturbo per non confonderlo con episodi di tristezza, che possono accadere a chiunque, perché magari coinvolti in momenti di vita dolorosi come un lutto, una separazione, la perdita del lavoro, ecc. La tristezza è un’emozione di base che ha importanti funzioni psichiche e rappresenta un’ occasione per spostare l’attenzione dal mondo esterno al mondo interno. I fatti spiacevoli che ci accadono, se determinano tristezza, ci comunicano quanto essi siano importanti. Possiamo per esempio dare per scontato una relazione e sentirci tristi nel momento della fine della stessa. In questo caso la tristezza va colta come un’occasione per imparare quanto siano importanti per noi le relazioni. La tristezza va quindi “accolta e vissuta” come un momento di riflessione e di attenzione su quelli che sono i nostri valori. Non la devo censurare e neanche anestetizzare, entro in contatto con lei e un buon consiglio è quello di scrivere il proprio vissuto doloroso, perchè scrivere consente di mettere ordine ai propri pensieri e di dargli un senso e se un senso non ce l’ha, pazienza! Ci siamo dedicati comunque del tempo. Entrare in contatto con la tristezza e con il motivo che l’ha provocata è propedeutico per il passo successivo, quello finalizzato ad alleviare la tristezza (solo dopo averla sentita). Le soluzioni sono tante e ciascuno di noi sceglierà quella che più gli piace senza sottovalutare le cose più semplici: passeggiare, frequentare un amico, dedicare tempo al proprio animale, alla lettura di un libro o di una pratica sportiva. Mentre la tristezza è passeggera, la depressione è un disturbo dell’umore duraturo e pervasivo che spesso ci determina senso di angoscia, apatia, perdita di interesse difficoltà cognitive, calo del desiderio sessuale, alterazioni dell’appetito, disturbi del sonno, senso di inadeguatezza e colpa fino ad arrivare a idee suicidarie. Fondamentale è chiedere aiuto. La terapia cognitivo comportamentale ha un riscontro di efficacia elevato e non va sottovalutato, se necessaria la consultazione di un medico per l’aiuto farmacologico. Da un punto di vista cognitivo il terapeuta interviene per correggere i pensieri disfunzionali, responsabili di una visione negativa, per avere una visione più aderente alla realtà. L’umore depresso richiede delle tecniche di autocontrollo finalizzate a contenere e gestire le emozioni spiacevoli, mentre a livello comportamentale sono utili le attività programmate e prescritte per apprendere nuovi modi di agire più costruttivi e funzionali. Le caratteristiche personali sono importanti per l’efficacia del trattamento e sono relative alla capacità di instaurare relazioni significative, al grado di motivazione e di ottimismo rispetto alla disponibilità a cambiare la propria situazione.
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